MOTO CLUB ROMA TRA DELTA DEL PO E SACRARIO REDIPUGLIA VERSO LA CROAZIA

ECCOCI il MC ROMA di nuovo sulla strada verso nuove mete ed emozioni!

ECCOCI sul DELTA del PO a vedere colori e natura che la nostra ITALIA ci regala!

ECCOCI al SACRARIO di REDIPUGLIA luogo di storia dedicato agli ITALIANI eroi della prima guerra mondiale!

ECCOCI in CROAZIA dove si terrà EXPERIENCE FIM EUROPA CROAZIA 2019!

ECCOCI dopo le fatiche motociclistiche due giorni di mare tra le isole CROATE!

SETTEMBRE, ANDIAMO.                                                                                                                                                     

Il MOTO CLUB ROMA migra per terre di colori sul PO, emozioni del SACRARIO di REDIPUGLIA e strade nel mare della CROAZIA. Presidente ROMEO nostro pastore e organizzatore…nonostante il LAVORO!

Il solito nutrito gruppo dei soci del MC ROMA si ritrova verso il fiume PO, dove forma il delta che si getta nell’ADRIATICO creando canali di acqua, natura, colori e animali che dipingono un QUADRO che regala al nostro essere di inserirsi in un ambiente di emozioni che vissute con la nostra motocicletta ci fa sentire parte di quel QUADRO. Dopo stradine, canali, capanni da pesca, aironi rosa, cenerini e tramonti arriviamo a Chioggia per pernottare con cena di specialità locali. A Chioggia siamo su un set di una fiction di una TV AMERICANA. Costumi storici e ambientazioni che raccontano la storia della bella cittadina e delle famiglie che hanno dominato quei luoghi. Da dove vengono per la nostra STORIA!

Da una richiesta di Alberto, verso la Croazia, sosta al SACRARIO di REDIPUGLIA. Si arriva in questo luogo con la consapevolezza di vedere un luogo di RICORDO invece è tutta un’altra storia. Qui senti la STORIA che hanno fatto i nostri ANTENATI per il nostro FUTURO. La TRINCEA BLINDATA parla di quelle voci bisbigliate di uomini eroi che si parlavano e rispondevano sottovoce PRESENTE all’appello. Chiusi in quei tunnel a scrutare i movimenti dei nemici aspettando una liberazione che in molti casi era la morte. Uscire e vedere il SCACRARIO lancia il cuore in gola, la scritta PRESENTE ripetuta lungo tutti i frontali della costruzione sovrastata da tre croci senti le voci di quei soldati che ancora oggi rispondono all’APPELLO degli EROI del nostro FUTURO. Quasi non vorresti lasciare quel luogo per sentire le storie che ognuno dei 65.000 caduti hanno da raccontare al nostro vivere frettoloso e spesso insensibile. Un pensiero a mio NONNO che in quella guerra c’era con appena i suoi 16 anni di VITA.  GRAZIE di essere stati PRESENTE nostri EROI e di aver amato la nostra ITALIA fino alla fine. Parole ormai nel dimenticatoio di tutte le nostre tradizioni.

Attraversiamo la SLOVENIA su stradine interne con paesini ordinati , pulitissime e strade a biliardo. Arrivo all’autodromo di Gathering at Grobnik Race Track per incontro con gli amici della FIM EUROPE. Subito un’emozione! Giro in pista con le nostre moto, foto di rito e trasferimento a RIJECA per visita a una nostra ex BANANIERA…presa da TITO per usarla come luogo di feste e qualche …scappatella. Ormai un rottame come i dittatori deìi quell’epoca. Cena con vista sul golfo con luci e riflessi incantevoli.

Pronti per partire, prima foto di rito davanti l’albergo e via verso l’imbarco per l’isola di PAG percorrendo il lungomare con vista delle isole INCORONATE. La leggenda narra che Dio, dopo aver creato quasi tutto gli rimasero dei sassi e li butto in quell’angolo di mondo creando isole di rara bellezza . Sembrano sospese sull’acqua da quanto è trasparente e di colore indefinito. Trasferimento verso ZARA visita alla città con resti romani e influssi dell’appartenenza alla REPUBBLICA di VENEZIA. Ultimi chilometri della giornata verso Hotel Maškovića proprietà tutelata come patrimonio UNESCO situata a Pakoštane, il Maškovića Han un CARAVANSERRAGLIO con sito archeologico di un autentico hammam turco del Seicento. Luogo pieno di fascino e storia nella camera che ci ospita i tre camini presenti raccontano storie di viaggiatori di altri tempi intorno allo scoppiettio delle braci.

In moto verso SIBENIK cittadina sul mare fondata dai CROATI intorno all’anno 1000 e dal 1412 sotto la dominazione della REPUBBLICA di VENEZIA. Incantevoli i suoi vicoli con colori e caratteristiche dell’epoca luogo ideale per foto che sembrano scattate anni addietro.

Rapido trasferimento sulle strade interne Croate con atmosfera diversa dalla costa, i luoghi si sono fermati a qualche anno addietro. Segni di pallottole sulle costruzioni ricordano orrori dei nostri tempi. Arrivo al parco di KRKA dove l’omonimo fiume crea cascate e laghetti con movimenti di acqua e colori che cambiano con le ore del giorno. Visitiamo la cascata ROSK SLAP, dove gli antichi mulini sono stati trasformati in bar e negozietti di souvenir. Una considerazione rispetto la nostra Italia, in tutte le nazioni dell’est e nord Europa dove esiste una concentrazione di acqua più grande di una vasca da bagno, si crea un indotto turistico fonte di lavoro per la popolazione. Noi in Italia tra vincoli e burocrazia facciamo prima a non sviluppare nulla e dare il reddito di cittadinanza. Termina il viaggio Croato con gli amici della FIM EUROPE. GRAZIE dei panorami della vostra bella terra.

Rombo di scarichi e via verso Spalato per un riposo da moto, due giorni al mare prima del rientro in ITALIA. Grazioso albergo sul mare con cena in spiaggia. Mattinata spalmati sui lettini in riva al mare con bagno per i coraggiosi dell’acqua fredda. Pomeriggio a SPALATO, ex SOLONA a tempo dei romani visita al PALAZZO di DIOCLEZIANO IMPERATORE ROMANO nato in CROAZIA che stabilì la TETRARCHIA di GOVERNO (due IMPERATORI e due CESARI), autore di grandi riforme e persecutore dei CRISTIANI. Moglie e figlia di DIOCLEZIANO convertite al CRISTIANESIMO e giustiziate in SIRIA dall’imperatore LICINIO! Forse dopo questo fatto il proverbio “chi è causa del suo mal……” Il palazzo è stato riusato nei secoli conservando molte parti del palazzo e la cinta muraria alta 18 metri, la CATTEDRALE di SAN DOIMO, le PORTE AUREA FERREA AENEA e altro della sfarzosa villa IMPERIALE. Adesso tra i luoghi dell’antica città romana troviamo abitazioni, bar, hotel che ci riporta allo sfruttamento turistico che oggi imperversa in tutti siti della terra dove è passata la storia del mondo. La mattina di corsa verso il porticciolo dove ci attende un CAICCO, giro marino verso le isole davanti a SPALATO. Visita a due incantevoli paesini sul mare tornati in possesso degli abitanti dopo il passaggio estivo dei turisti. La memoria di Paolo ricorda che dall’isola di BRAC è stato estratto il marmo per le costruzioni d’importanti edifici PALAZZO di DIOCLEZIANO, cattedrali, e la Casa Bianca (oltre le leggende sembra solo le colonne). Bagno pranzo a bordo e alle moto verso il traghetto per ANCONA. Traversata di chiacchiere del viaggio e nostalgia per un viaggio che finisce, con l’idea al prossimo tour del MOTO CLUB ROMA…….

ECCOCI pronti per la COSTIERA AMALFITANA.

PS OBBLIGATORIO: uscita dal porto di ANCONA le condizioni dell’asfalto ci riporta alla dura realtà italiana….. pista da motocross. Alcuni anni fa si rientrava dai paesi del nord dell’EUROPA la differenza era normale. Oggi rientro dalla EX bistrattata EUROPA dell’EST e CORTINA di FERRO… e si nota la stessa differenza. Si saranno girati i confini?

Fabrizio Battaglia

VIAGGIO NELLA VERDE IRPINIA ALLA SCOPARTA DI UN’ITALIA SCONOSCIUTA

di Alfonso Colarusso

Doveva essere una classica gita di tre giorni messa a calendario nel 2018 tra quelle previste annualmente dal Moto Club Roma ma, nel percorrere in moto questo angolo remoto della nostra bellissima Italia, siamo entrati in una terra di incredibile bellezza dove le strade, mai calpestate da un turista e percorse con difficoltà dalle auto a causa di un asfalto sconnesso e con bordi franati, non servono solo per raggiungere i bellissimi paesi arroccati lungo i costoni montani, ma ti conducono per mano in un viaggio introspettivo dove ritrovi te stesso nel continuo susseguirsi di una cultura profonda, di una storia antica, di una spiritualità che si trova a metà strada tra il cattolicesimo romano e l’ortodossia greca.

Ma andiamo per ordine!

Punto ideale di partenza è centro geografico di questo particolare territorio è la zona compresa tra i paesi-città di Mirabella Eclano e Ariano Irpino.

Da qui si estende una valle ed una strada “l’Ofantina” che taglia in due parti la regione. A sud dell’Ofantina c’è la bellissima montagna sulla cui sommità si può ammirare l’altopiano del Laceno con l’omonimo lago, montagna circondata da paesi martoriati e distrutti da una serie incredibile di terremoti.

Ed è questa forse la parte più conosciuta.

A nord della valle dell’Ofanto e fino al confine con la Puglia, si entra invece in una terra di mezzo dove i paesi sperduti tra montagne e colline conservano intatte le loro tradizioni e la loro cultura millenaria.

Il Moto Club Roma, con la supervisione del sottoscritto e con una guida eccezionale in Tommaso Ferri di Mirabella Eclano, appassionato motociclista e conoscitore dei luoghi, è andato alla scoperta di questa terra di mezzo.

Il viaggio inizia appunto da Mirabella Eclano (ma un buon punto di partenza potrebbe essere  anche la zona termale di Villamaina dove le terme (con acqua sulfurea calda) e gli alberghi aprono la stagione solo dopo il 15 giugno.

Già a Mirabella Eclano dove vi sono i resti romani dell’antica Eclanum, si ha il primo sentore di quello che scopriremo nel viaggio.

Nella chiesa Madre della città è conservato un crocifisso del 1200 d.c., unico e particolare, dove il cristo è rappresentato senza alcuna sofferenza, con gli occhi che ti seguono da qualunque lato lo guardi. Dalla chiesa si accede al museo dove, oltre ai cimeli delle antichissime congregazioni religiose che si erano insediate, sono conservati documenti originali risalenti fino al 200 d.c..

Poco distante, in un antico monastero francescano sono conservati i pezzi (smontati) di un carro interamente costruito con paglia intrecciata a formare un campanile con statue e decorazioni, sulla cui cima viene trasportata con un carro trainato da buoi, in processione la madonna ogni anno, il terzo sabato del mese di settembre, con la partecipazione di tutta la cittadinanza che con le funi impedisce al campanile di cadere.

Nei sotterranei del monastero sono state invece sistemate, dopo un ottimo restauro, statue di grandezza naturale rappresentanti l’ultima cena e la via crucis, costruite intorno alla metà del ‘900 in cartapesta con una maestria unica e irripetibile, dove si ha l’impressione di partecipare in prima persona alla scena dei misteri.

Da Mirabella Eclano si raggiungono i territori della “Baronia” che appartenevano al principe Orsini, passando per i bellissimi paesi di Frigento e Sturno arrivando fino al paese di Trevico circa 1000 m.s.l.m., paese che ha dato i natali a Ettore Scola che nel 1973 vi girò il film “Trevico-Torino” sull’emigrazione dei meridionali verso gli stabilimenti della Fiat di Torino.

Da Trevico la strada che porta a Bisaccia passa lungo il costone della montagna e, attraversa un ampio altipiano in mezzo a mostruose costruzioni di pale eoliche.

Si ha l’impressione, specialmente in moto, di trovarsi in una terra aliena e di dover affrontare questi enormi mulini a vento come un moderno Don Chisciotte.

Si giunge quindi al paese di Aquilonia, completamente ricostruito dopo il terremoto del 1980 dove la comunità locale ha realizzato però un incredibile museo Etnografico della civiltà contadina, attraverso la meticolosa raccolta, ricostruzione, restauro e catalogazione degli oggetti, degli spazi, degli ambienti del mondo contadino, per restituire al visitatore la suggestione della memoria e un’occasione di riflessione su un mondo che ognuno di noi conserva latente nel proprio subconscio; quel volto ancestrale di una società basata sul rapporto stretto dell’uomo con il calendario naturale e invariabile delle stagioni e con i suoi rituali religiosi e le sue feste.

Poco distante si può visitare l’antico sito di Carbonara, ovvero l’insediamento delle popolazioni locali prima delle distruzioni dovute a ben tre terremoti che hanno segnato la storia, la vita e il futuro dei suoi abitanti e dove si può meditare sulle differenti modalità con cui gli uomini hanno fatto fronte alla distruzione. Tra i terremoti più recenti si ricordano quello dell’agosto del 1930 con 1404 morti, dove nel successivo mese di ottobre vennero ricostruite completamente tutte le abitazioni nel loro sito naturale.

Poi venne il terremoto del 1962 dove, per fortuna, non vi furono morti ma solo crolli di case la cui ricostruzione è durata circa dieci anni. Quindi l’ultimo terremoto del 1980 con 2500 morti dove la ricostruzione non è mai avvenuta e molti paesi sono stati abbandonati (come appunto Carbonara) dagli abitanti che hanno potuto ricostruire solo dopo oltre 20 anni dal sisma il nuovo insediamento.

Poco distante da Aquilonia si raggiungono i laghi di natura vulcanica di Monticchio, circondati da sorgenti di acqua minerale, su cui si affaccia la bellissima abbazia di San Michele Arcangelo del 1000 d.c. e dalla cui chiesa, costruita nella roccia, è possibile ammirare il panorama dei due laghi. L’abbazia conserva alcune bellissime icone di fattura bizantina.

Riprendendo la strada del ritorno verso Mirabella Eclano e percorrendo la strada Ofantina non si può evitare la visita di una belle più belle abbazie italiane, quella del “Goleto”, situata ai piedi del paese di Sant’Angelo dei Lombardi che nell’ultimo terremoto ha subito gravissime perdite di vite umane, restando completamente distrutto.

L’Abbazia non è un semplice luogo di visita considerato che la sua grandiosa bellezza porta il visitatore all’interno di un viaggio spirituale aiutato da uno scenario e da un’ambientazione unica e irripetibile.

Il nostro viaggio si conclude con questa visione ma anche con la voglia di ritornare, di scoprire ancora luoghi che ci sono stati solo raccontati dagli abitanti del posto ma che, per ragioni di tempo, non abbiamo potuto visitare. Ci resta il desiderio di ripercorrere quelle strade deserte e quei luoghi sconosciuti al turismo ma proprio per questo unici e scolpiti in modo indelebile nella memoria.

 

In ricordo di Francesco PRIMA

Ho sempre pensato al Moto Club Roma come un possente muro fatto di pietre, qualcuna più piccola ed altre più grandi, come quelli delle chiese antiche, tanto care a Francesco. Queste pietre sono i nostri soci ed il cemento dell’immaginario muro è l’amicizia, la condivisione di interessi e la solidarietà tra di loro.

Nel corso di tanti anni dal muro del Moto Club si sono staccate tante pietre, ma quella che si è staccata ora è particolarmente grande e pesante.

Francesco ci ha lasciati.

Sulla strada della vita noi siamo fermi ad un bivio ad aspettarlo, come è accaduto tante volte sulle strade reali, ma lui è andato dritto, direttamente alla meta. Ma troppo presto, troppo veloce, proprio lui che, tranne una sola volta, amava guidare lentamente.

Noi avremmo voluto condividere con lui tanti altri viaggi in moto nei quali la sua compagnia, discreta e silenziosa ma sempre entusiasta e partecipativa, ne era una componente essenziale.

Fino a pochi anni fa, quando avevo in mente qualche viaggio, davo per scontato che Francesco avrebbe certamente partecipato per alimentare la sua insaziabile curiosità nei confronti del mondo, allargare la sua vasta cultura e soprattutto per la gioia di condividere tutto ciò con gli amici cari.

Mi rimangono nella mente e nel cuore i viaggi in Marocco, Albania, Bulgaria, Etiopia e le molte escursioni in fuoristrada dalle quali troppo spesso tornava un po’ acciaccato ma sempre felice e senza rimpianti. Proprio come mi ha detto di essere, senza rimpianti, pochi giorni fa, quando ha avuto coscienza che il suo viaggio era vicino all’arrivo. Una forza d’animo straordinaria ed una serenità veramente esemplare, sintomatica di un uomo intelligente, buono e saggio.

Pochi mesi fa, quando ha scoperto di essere malato, mi ha scritto questa lettera: <<carissimo Rudy, ti ringrazio per aver raccolto e ritrasmesso il mio accorato appello. come puoi immaginare sono rimasto disorientato dalla scoperta della malattia e ho pensato di ricorrere agli amici che spesso mi hanno “raccattato dalla polvere” … e’ bello sapere che si può contare sugli amici>>. Questo pensiero di Francesco sintetizza appieno il sentimento di solidarietà che tra noi tutti si era instaurato in quasi quaranta anni di frequentazione e molte decine di migliaia di km.

Se è vero, e ne sono profondamente convinto, che noi siamo quello che siamo stati e che -quindi- noi siamo i nostri ricordi, Francesco continuerà a vivere nei racconti dei nostri viaggi, nei nostri ricordi e nei nostri cuori.

Ciao Professore, continua il tuo viaggio in moto lungo le strade del paradiso che -ne sono certo- ti ha già accolto. Continua a mostrarci la strada più giusta, senza più bisogno di consultare quelle enormi mappe militari che solo tu sapevi leggere.

Rudy

CON NOI PER AMATRICE Associazione Moto Club Trevignano Romano

Ho viaggiato e organizzato viaggi, ma questo di oggi è un viaggio che non ho mai avuto voglia di pensare. Fortunatamente qualcuno l’ha fatto per me e altri 86. Grazie dunque a Pietro Mariotti, mio amico e Presidente del Moto Club Trevignano Romano, sezione del Moto Club Roma, che ha avuto la voglia e la tenacia di inventare questa gita solidale “CON NOI PER AMATRICE”.

La giornata inizia sul lago di Bracciano, dove si ritrovano i partecipanti (e, incredibile, nessuno degli 87 iscritti ha rinunciato!). Via, si parte! Percorriamo la campagna romana per arrivare sulla via Salaria fino al bivio di Amatrice, attraversiamo il Ponte della Rinascita come a dire “buongiorno a tutti”: ecco la forza e la voglia di questa gente. Arriviamo ad Amatrice da nord e si vede quello che le televisioni hanno trasmesso, ma la realtà della vita, qui, è enormemente diversa: vedere il vecchio Corso ridotto a cumuli di macerie a destra e sinistra, ammutolisce qualsiasi emozione. Continui a guardare ovunque e capisci che la natura ha presentato il conto agli errori degli uomini, dimostrando la sua forza invincibile. La distruzione è la firma della natura, che ha dettato la legge del più forte. Pensare alle storie di vita sotto quelle macerie ti fa sentire profanatore di quei luoghi distrutti. Nell’alzare gli occhi, verso queste montagne che avvolgono il paese, si nota comunque che qualcosa ha rifiutato la legge della natura: la Torre Civica di Amatrice che resiste con orgoglio, volontà e forza; due bandiere sventolano il Tricolore Italiano e quella della Città di Amatrice, a simbolo di un futuro che ci sarà! Da profanatore che ti senti ora, pensi che ognuno che vada in quei luoghi per curiosità possa in realtà trasformarsi anche in qualcuno che possa dare “alla popolazione di questo stupendo territorio messo duramente alla prova un contributo a far rinascere la speranza di guardare il futuro” come scritto da Pietro Mariotti nel volantino di questo evento.

Arriviamo all’ “Area Food” a San Cipriano, una delle 69 frazioni di Amatrice, e senti che oltre la Torre Civica un’altra cosa ha rifiutato la legge della natura: gli “AMATRICIANI”, che con le loro tradizioni del luogo sono ripartiti con alcuni ristoranti. Non hanno più i loro luoghi storici, ma in quelle nuove strutture senti il calore, la forza, la voglia, la tenacia e la VITA per andare avanti. L’Amatriciana e la Gricia che vengono servite sono la storia del passato e la forza del futuro.

Viaggiare in moto è vivere i luoghi dove viaggi ed essere dentro il territorio avvolto nell’essere della natura e della popolazione. Oggi possiamo solo dirvi GRAZIE! Noi motociclisti possiamo aiutare con poco questa meravigliosa gente, però diciamo “SE SERVE NOI CI SIAMO”!

Transilvania: alla ricerca della strada più bella del mondo

di Carlo Buscemi

Vi ero già stato l’anno precedente, ma in macchina. Da un certo punto di vista, quel viaggio fu una tortura per me perché immaginavo di continuo come sarebbe stato poter essere in moto, piuttosto che chiuso dentro una comoda ma asettica scatola di metallo. La moto sviluppa e attiva i cinque sensi rendendo il viaggio il vero fine; l’automobile, al contrario, li ottunde. Questo è un dato di fatto che solo chi va in moto può comprendere. Ebbene, devo attendere meno di un anno per veder verificate quelle aspettative che, alla prova dei fatti, si sono dimostrate addirittura sottodimensionate rispetto alla effettiva esperienza vissuta: tutto questo per dire che la Transilvania è una regione meravigliosa.

Il gruppo, composto dai proverbiali ‘pochi ma buoni’, si divide subito in due: i ‘duri e puri’ (Lallo e Alfonso) partiranno tre giorni prima di noialtri per il giro ‘tutto in moto’, fermandosi prima a Postumia per visitare le splendide grotte, poi, passando per il lago Balaton, a Budapest al fine di rifocillare le già stanche membra e crogiolarsi mollemente tra le amorevoli cure dell’enorme impianto termale, che aggiunge a questa città un ulteriore motivo di visita; mentre noi (Rudy, Paolo, Enzo, Roberto e io), detti ‘i fraccomodi’, ‘gli aviotrasportati’, o più correttamente ancora ‘i pragmatici’, ci imbarcheremo su un comodo aereo che ci depositerà, freschi e riposati, ma non meno affamati, direttamente a Cluj-Napoca, la città principale della regione transilvana, dove ci riuniremo ai motorizzati dai quali, di fronte a una serie di laute e tipiche portate rumene, verremo aggiornati sulle esperienze mangereccio/ motociclistiche da loro accumulate nel frattempo. Lasciamo la locanda Roata e i suoi buoni ma pasticciati intingoli per una veloce passeggiata per il centro di Cluj, un sigaro sotto la statua di Corvino e la Chiesa Nera, e la giornata può dirsi degnamente conclusa.

Il programma del primo giorno di viaggio rumeno prevedeva il trasferimento presso Turda, il ritiro delle moto a noleggio e il giro sui Monti Apuseni. Con la consapevolezza che la tappa sarebbe stata lunga e complice il desiderio di mettersi subito in moto, ci lasciamo alle spalle la famosa miniera di sale di Turda, principale attrazione del luogo, e grazie anche alla ben rodata organizzazione della Adventure Motorcycle Tours, ci fiondiamo rapidamente verso Ovest in direzione della Trans-Apuseni e della Trans-Ursoaia. Sono entrambe strade strette, tortuose e ombreggiate che si sviluppano nel fitto dei boschi degli omonimi parchi per poi aprirsi improvvisamente su un grande altopiano freddo e ventoso la cui vista a 360 gradi su prati verdi, allevamenti di mucche e rocce aguzze, rappresenta il vero paradigma transilvano, quello tradizionale e contadino, aspro, arcaico, fermo nel tempo. A me ha ricordato un po’ i nostri Appennini del Sud Italia. Il fondo stradale non è dei migliori a conferma, al momento, del pregiudizio circa le pessime condizioni delle strade rumene. Non ci priviamo nemmeno di qualche chilometro di sterrato ben battuto nel fitto di una cupa foresta, dando all’amico Alfonso e alla sua RT 1600 ‘da enduro’ un primo assaggio di cosa avrebbero sperimentato nei giorni a venire. Prima di raggiungere Alba Iulia, l’antica Apulum romana e nostro fine tappa, è impossibile non fermarsi alla Grotta di ghiaccio di Scarisoara (Pestera ghetarul de la Scarisoara): ad un’altitudine di 1200 mt/slm, scendendo lungo scalette di ferro che via via diventano sempre più umide e scivolose, ci infiliamo nel gelido frigorifero naturale, la cui temperatura si attesta intorno ai 0°C, camminando su malconce passerelle di legno costruite sul vivo ghiaccio preistorico risalente all’ultima glaciazione, arriviamo sul fondo dove un ultimo gelido vano, che sembra una chiesa fatta di stalattiti e stalagmiti di ghiaccio, ci invoglia a tornare presto in superficie e gustare un altro po’ di quel calduccio esterno (siamo a giugno) di cui pochi minuti prima della discesa avevamo avuto addirittura l’ardire di lagnarci. La Transilvania è anche e soprattutto terra di grotte e miniere. In tutto ciò il nostro sodale Paolo (per fortuna senza drammatiche conseguenze) ha un incontro ravvicinato del terzo tipo con un tir che scendeva quelle strette stradine a tutta birra e che lo ha urtato, spingendolo in un fosso per sua fortuna fangoso al punto da rendere la caduta meno impattante ma che, nondimeno, gli ha fatto assaporare ancora più da vicino le tipiche fragranze bovine degli alpeggi estivi. Comunque, tutto molto bello (incidenti a parte) ma questi percorsi sono lungi dal poter essere annoverati tra i migliori di sempre, perché, attenzione, il nostro obiettivo è quello di trovare la strada più bella del mondo.

Ci prepariamo di buona lena per raggiungere, lesti e arditi, la famosa Transalpina. Lasciando Alba Iulia, città che non ha lasciato particolare segno nella nostra memoria a parte le mura dell’antico castrum, prendiamo direzione Sud verso Petrești, paesello da cui ha origine la strada montana. Un susseguirsi interminabile di curvoni aperti, dall’asfalto liscio e immacolato (il ché smonta ogni residuo pregiudizio sulle strade rumene), che sembrano siano stati disegnati su una mappa dalla matita dell’Altissimo avendo presente in mente che un giorno quelle curve sarebbero state infilate una a una da orde di centauri motorizzati. Infatti, pare che la strada sia un po’ l’equivalente del nostro ‘Passo del Muraglione’, un giro classico che ogni motociclista rumeno deve fare, anche più volte nella vita. E in effetti si è trattato di una vera ‘giostra’ che ci ha regalato un gusto infinito. Sarebbe cosa buona e giusta tornarci ‘intutati’ su una supersportiva o un ‘motardone’ ma noi, affascinati dal paesaggio da fiaba e dagli scorci delle montagne circostanti, dei boschi e, soprattutto, del fiume che nasce dal lago Oașa e che per buona parte scorre di fianco alla strada, l’abbiamo consapevolmente percorsa ad andatura iper-turistica per non perderci nulla di quello spettacolo. Rimaniamo in quota sui Monti Lotrului seguendo un lungo percorso carpatico verso Est che ci porta stanchi ma soddisfatti a Sibiu. Stanchezza comunque calmierata dalla brillante idea che qualcuno di noi ha avuto di comprare, a pochi spiccioli, dei velli di pecora per rendere le selle delle nostre BMW a noleggio meno punitive. Fuocherello: la Transalpina è davvero stupenda ma la ricerca della strada perfetta non finisce qui.

Pur avendo avuto la fortuna di non sperimentare un vero e proprio nadir, eccoci però di fronte allo zenit di tutto il viaggio: la Transfagarasan. Percorrere questa strada vale tutto il viaggio fin qui, senza ombra di dubbio. Trovarla è stato facilissimo. Onorati della compagnia di un motociclista rumeno, che ha chiesto di potersi aggregare al nostro gruppo, siamo partiti da Sibiu, deviando verso Est in direzione Cârțișoara e poi giù al Sud. O meglio, su al Sud. Sì, perché si sale di quota e di parecchio, fino a 2000 metri. Breve cenno storico: la via, che taglia i Carpazi perpendicolarmente, fu voluta da Ceauşescu e realizzata in pochissimo tempo a suon di dinamite intorno agli anni ’70 per motivi militari, perché consentiva il rapido trasporto di armi pesanti da Bucarest oltre il blocco montuoso carpatico e rispondere più prontamente alle interferenze sovietiche. La Transfagarasan è lunga circa 150 km ma noi ne abbiamo percorso solo una parte perché il tunnel che separa i due lati del massiccio era ancora chiuso dalle recenti nevicate. Percorrerla da Nord è stata la scelta migliore, che ci ha permesso di salire lungo questo amplissimo vallone concavo, scavato nel corso dei millenni dal ghiacciaio, nel cui ventre si srotolano una lunga serie di curve dal raggio perfetto, il che ci dà il sospetto che il vero intendimento di Ceauşescu fosse motociclistico, più che militare. Saliamo e riscendiamo per lo stesso versante, raddoppiando il gaudio, a velocità bassissima perché uno spettacolo così non è da tutti i giorni. Come non usuale è stato passare tra muri di neve alti tre metri, luccicanti nel rifrangere i raggi solari di una frizzante giornata estiva. Un pensiero va a quegli eroici motociclisti che hanno completato il percorso sbucando dal tunnel e spingendo le moto nella neve per arrivare dal lato dove eravamo noi. Uno potrebbe dirsi soddisfatto, e invece no: proseguiamo per Rasnov e ci facciamo trainare da questi enormi trattori sull’antica cittadella fortificata, poi risaliamo in sella, svettiamo altri monti, ci infiliamo nell’ennesimo bosco per arenarci, ormai paghi, a Poiana Brasov, una stazione sciistica abbastanza ‘in’. Finalmente possiamo defaticarci e alleviare gli indolenzimenti vari in una piscina riscaldata all’aperto con vista sui Carpazi, per poi concludere con una degna cena di carne, assisi su poltrone ricoperte da pelli di animali. È un mondo difficile. Dicono che la Transfagarasan sia la strada più bella del mondo… Dunque, missione compiuta? Chi lo sa, aspettiamo di vedere il resto del mondo per dare un responso definitivo ma al momento è sicuramente in vetta alle mie preferenze.

Potenzialmente di rara bellezza, il percorso che dal distretto di Brasov ci ha portati nel Parcul Natural Bucegi alla ricerca di un monastero costruito dentro una grotta, su cui ero andato in fissa totale. La Pestera Ialomitei è una chiesetta ortodossa dal passato turbolento: costruita dal figlio del famoso Vlad l’Impalatore (più noto come Conte Dracula), un personaggio ‘a modino’ che per soprannome era chiamato ‘Il Male’, bruciata e ricostruita più volte nel corso dei secoli ed oggi, restaurata in tutta la sua caratteristica bellezza, dovuta anche al contesto paesaggistico e dall’essere non proprio facilmente raggiungibile. Ne sa qualcosa la già citata RT 1600 ‘da enduro’ del prode Alfonso, che si è cimentato vittoriosamente in un off-road niente male, con annesso discesone di fango. In effetti la strada ‘alpina’ per il monastero di recente era stata tutta asfaltata, ma avendo sbagliato svolta siamo arrivati su facendo il giro lungo che prevedeva, appunto, un bel tratto di sterrato che costeggiava il lago Bolboci. Molto spesso sono proprio gli imprevisti stessi che danno origine ai ricordi più belli di un viaggio. Figura barbina del sottoscritto che aveva presentato la destinazione come rara e sconosciuta anche agli stessi rumeni, quando invece per arrivare su (sterratone a parte) è stata tutta una noiosa fila indiana di macchine. A mia discolpa, mi hanno poi comunicato che in quei giorni si svolgeva non so quale festa nazionale rumena e quindi tutti gli abitanti delle zone circostanti si erano fiondati in massa verso i luoghi di campeggio più vicini. Quindi, la Transbucegi resta una strada meravigliosa e da fare assolutamente, ma attenti al calendario delle feste rumene! Finiamo la lunga giornata a Sighisoara nel distretto di Mures da dove, la mattina successiva, ripartiremo per Turda e riconsegneremo le moto per trasvolare fino a casa. Nel frattempo i ‘duri e puri’ ci offriranno una lezione di vita ricoprendo la distanza tra Sighisoara e Roma in due soli giorni, con tappone finale di 1.200 km Belgrado-Roma.

Un’ultima nota va fatta riguardo ai centri cittadini visitati: Sibiu, Brasov (che non abbiamo visitato perché la maggior parte di noi già la conosceva) e Sighisoara, sono stati una vera sorpresa per tutti. Circondati da periferie oggettivamente brutte, figlie della dominazione sovietica (durante il regime comunista Brasov era chiamata Orașul Stalin, la città di Stalin), i centri storici appaiono, invece, ben curati ed eleganti, perché memori delle origini romane e soprattutto sassoni. Le città infatti spesso hanno anche un nome latino e uno tedesco (ad esempio quelli di Sighisoara sono Castrum Sex/Schäßburg, quelli di Brasov Corona/Kronstadt) e conservano un’architettura che ricorda i tipici centri storici delle cittadine tedesche. C’è da dire che la Transilvania non è una regione rappresentativa della Romania tutta, come ad esempio il Trentino Alto Adige non lo è per l’Italia, ma sicuramente è una parte di Romania che merita di essere conosciuta e percorsa. In moto ovviamente.

In mezzo all’Atlantico

di Rodolfo ROMEO

 

Ho ancora negli occhi l’azzurro del cielo, il blu cobalto dell’oceano ed il nero delle rocce vulcaniche. Nelle narici l’odore delle piantagioni di banani. Nelle orecchie il rumore del vento. Nel cuore un misto di gioia per l’esperienza vissuta e di tristezza per un viaggio terminato.

Il rientro a casa è sempre un po’ difficile ed infatti quando vedo Lei, che è rimasta a casa, sono pronto al peggio. Fa finta di non vedermi, mi ignora, non mi parla, sembra guardare nel vuoto quando le sono di fronte. Ma io so esattamente cosa sta pensando e cosa vorrebbe dirmi: “Ecco, tu te ne vai in giro e io rimango qui a fare niente! E poi sei andato con quelle schifose, che per soldi vanno con chiunque”. Forse ha ragione, ma questa volta proprio non la potevo portare con me. Comunque, la conosco bene e so come prenderla, quali tasti toccare -non è la prima volta che succede- faccio finta di niente, le do una carezza, le salgo sopra e lei con un borbottio sommesso si mette in movimento. E’ stato sufficiente premere il pulsante di avviamento e tutto è passato.

Inizialmente avevo pensato di partire da casa in moto (che mi piace molto di più perché la preparo come desidero), prendere il traghetto per Barcellona da Civitavecchia, arrivare al sud della Spagna e salire sulla nave diretti nel mezzo dell’Atlantico, ma erano necessari almeno sei giorni all’andata ed altrettanti al ritorno. Troppi, sia per me che per i miei amici con i quali avevo preparato il viaggio. Maledetto tempo! Sempre troppo poco per dare concretezza ai sogni, dall’inizio alla fine. Benedetto tempo! Che, pur con notevoli funamboliche evoluzioni per destreggiarsi tra gli impegni di lavoro e quelli familiari, comunque dà la possibilità di vivere la vita, così come viene.

Perciò abbiamo deciso per il Fly&Drive, poco romantico ma molto pratico, per visitare qualche isola delle Canarie ed in particolare Gran Canaria e Tenerife, con una puntata a La Gomera. La meta, di primo acchitto, potrebbe sembrare scontata, poco originale e non “motociclistica” ma, credetemi, non è così. E’ vero che lo stereotipo delle Canarie racconta di isole mondane, piene di movida, turismo di massa, locali chiassosi e confusione. In piccola parte è la verità, ma chi vuole evitare tutto ciò ha una soluzione infallibile: evitare le -poche- località rinomate, quelle che tutti conoscono e frequentano, per perdersi nella miriade di strade che, come una ragnatela, avvolgono in un bozzolo le isole, dall’interno sino al mare. Così le Canarie si mostreranno in tutto il loro splendore offrendosi al viaggiatore in modo del tutto inatteso, affascinante e coinvolgente.

Atterriamo verso la fine di Aprile a Gran Canaria e raggiungiamo Maspalomas, poco distante dall’aeroporto, dove abbiamo prenotato le moto: una Honda NCX 750 (la mia), due Suzuky V Storm 650, due BMW GS700 e G650 ed una KTM 1090, tutte in ottime condizioni, con borse e bauletti per consentire una autonomia di nove giorni anche a chi viaggia con la passeggera (siamo tre coppie e tre single) .

Sbrigate velocemente le pratiche di noleggio, lasciamo immediatamente la mondana località costiera per dirigerci all’interno dell’isola e visitare la regione vulcanica di Tejeda. E’ qui che l’Isola si manifesta per quello che realmente è: una terra autentica e selvaggia dove le montagne -che sfiorano i 2000 metri-, i vulcani e i crateri svettano sul paesaggio circostante, imponendo, con la loro austera presenza, il dominio sull’intera isola. Oltre i 1000-1300 metri compaiono i boschi di pini ed altri alberi di alto fusto, del tutto assenti nelle zone costiere e pianeggianti, dove la nera roccia vulcanica affascina e monopolizza il territorio. Le strade sono a misura di moto: strettissime e attorcigliate su loro stesse, spesso a strapiombo, disegnate per offrire panorami incantevoli ed, allo stesso tempo, austeri e vertiginosamente inquietanti. L’andatura, ovviamente, è bassissima e quindi, consente qualche distrazione di troppo per godersi la bellezza dei luoghi. Le soste per le foto sono -giustamente- frequentissime, ma le distanze sono contenute e c’è tempo per tutto, anche per visitare i pueblos adagiati sui fianchi delle montagne,ben conservati e riamasti autentici.  

Scendendo verso la costa, nelle zone più interne riparate dal vento dell’oceano, l’uomo ha strappato all’aridità della terra ampie zone destinate alla coltivazione di frutta e verdura, principalmente banane. Sono superfici circondate da muri di pietra e coperte da teli per mitigare l’azione del vento e del sole implacabile, che bacia e avvolge l’isola tutto l’anno, come un’amante insaziabile e ossessiva. Passandoci vicino in moto si è avvolti da un odore dolce ed acre che riporta alla mente le atmosfere e le flagranze del Sud America.

Ritornati sulla costa, data un’occhiata “en passant” alle località turistiche tutte situate a sud est dell’isola -quella sottovento rispetto ai venti dominanti- ci concediamo una giornata di ozio sulla spiaggia di sabbia a Punta de Maspalomas. Si tratta dell’unica grande spiaggia di sabbia vera, non riportata, con alle spalle bellissime dune che si tuffano nell’oceano. Una sorta di deserto sabbioso in miniatura, come se una piccola porzione del Sahara si fosse trasferita in una vacanza perenne in mezzo al mare. Veramente molto bello. Attenzione a non addentrarsi troppo all’interno delle dune, perché non incontrerete i Touareg ma personaggi alternativi in cerca di avventure “diverse” (Maspalomas, come riportato anche nella Lonely Planet, è nota per essere gay friendly).

Sono già trascorsi tre giorni ed è tempo di cambiare isola. Dal piccolo, pittoresco ed ospitale porto di Agaete, Puerto de la Nieves, un moderno e velocissimo catamarano (di costruzione norvegese!) in tre ore ci porta a Santa Cruz de Tenerife, nell’omonima isola.

Quanto detto per Gran Canaria vale anche per Tenerife che, anch’essa, nasconde fuori dalle zone turistiche delle autentiche oasi di bellezza e tranquillità. Anche qui è piacevole ed emozionante perdersi in strade secondarie, a volte neanche segnate sulla mappa, e scoprire degli autentici gioielli.

Ma a Tenerife c’è una presenza che pervade ogni angolo dell’isola. E’ il sovrano incontrastato delle Canarie, il gigante che dai suoi 3718 metri (!!!) sembra ergersi al centro dell’isola proprio per controllare ed essere visto da tutti (se le nuvole lo permettono), anche dalle isole vicine. E’ il Teide, il vulcano più alto d’Europa e la montagna più alta della Spagna, anche se geograficamente si trova al largo dell’Africa –magie della geografia politica! Semplicemente stupendo, così come la strada che arriva ad oltre 2500 metri in un piccolo altopiano di sabbia e lava, proprio sotto la parte finale del cono. Gli ultimi 1000 metri si “scalano” in funivia, ma non per noi: è ferma per il vento troppo forte. Comunque, è veramente emozionante. L’ambientazione della zona potrebbe essere ricostruita scecherando un pezzo di Perù (la zona dei vulcani, ovviamente) un po’ di Islanda (per le colate di lava nera come il carbone), una porzione dell’Acacus libico (per il contrasto tra roccia e sabbia) ed uno spicchio di Norvegia (per il mare che si insinua nella terraferma).

La nostra base è il piccolo paese di Garachico per nulla contaminato dal turismo e  situato sulla costa nord occidentale dell’isola. Da qui per quattro giorni partiamo per le nostre scorribande oltre che sul vulcano anche nella zona più a ovest di Tenerife, per me la più bella dell’isola -mentre la parte esposta ad est non è turisticamente interessante. Le moto danzano tra le curve, con la montagna da un lato e l’oceano dall’altro: che spettacolo!

La visita a La Gomera occuperà una sola giornata, dalla mattina prestissimo (con conseguenti vivaci rimostranze di mia moglie) alla sera. Il ferry, anch’esso un veloce e confortevole catamarano, in meno di un’ora ci porta da Los Cristianos al Piccolo porto di San Sebastian de la Gomera, sul quale splende l’unico raggio di sole che tocca l’isola. Il resto è avvolto da nubi basse, intrise di pioggia, che la coprono interamente. E così, indossate le tute impermeabili, andiamo a visitare l’interno della piccola isola, anche questa montuosa, che si mostra come una ininterrotta fitta, buia e rigogliosa foresta di Larici (laurislve ancestrali, che molti secoli fa erano diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo). Ecco il perché della pioggia che, essendo una presenza costante, consente la crescita rigogliosa della foresta a queste latitudini. I venti che provengono dall’oceano, intrisi di umidità, vengono intercettati dagli alberi sulle montagne e dal calore della terra e, così, si formano le nubi che rovesciano la preziosa pioggia che nutre e fa prosperare la foresta, in un ciclo senza fine. La Gomera, quindi, è l’isola più ricca di acqua dell’intero arcipelago ed è stato proprio per questo motivo che Cristoforo Colombo, con le sue caravelle, vi fece scalo per fare l’ultimo rifornimento d’acqua prima di salpare per le Americhe. I pochi scorci visibili tra una nuvola e l’altra mostrano una costa molto poco ospitale con rare piccole spiagge sassose, raggiungibili da strette stradine che dalla montagna si tuffano ripidissime verso il mare.

Poche ore sono sufficienti per fare il giro dell’isola, praticamente rotonda, e ritrovarsi al porto per il rientro a Tenerife.

Il giorno seguente siamo di nuovo a Gran Canaria, dove ci attende la riconsegna delle moto. Una carezza sul serbatoio per ringraziare del servizio reso, e l’aeroplano ci attende, implacabile, per riportarci a casa.

Io sono affascinato dai contrasti tra terra ed acqua. A volte l’elemento dominante è la terra stessa che viene interrotta da fiumi e laghi. Talvolta, invece, domina il mare che è “violato” dalla terra sotto forma di isole, penisole o promontori che si insinuano nell’acqua, come dita tese di una mano, e formano i fiordi. Molto spesso tra terra e mare si instaura un rapporto di intima complicità, dove i due elementi si fondono in una cosa sola. Prendete ad esempio la Grecia, le coste della Turchia o, in generale i mari tropicali. Lì la costa ed il mare sono come fusi in tutt’uno, il mare lambisce la  battigia accarezzandola delicatamente, come in un sensuale abbraccio amoroso. I colori sfumano, si confondono e, in qualche caso, non è facile stabilire il confine tra i due elementi. Il panorama è armonioso e comunica un senso di quiete e serenità.

Alle Canarie non è così. Lì sembra assistere ad un eterno violento conflitto tra il mare e la terra. Le isole, alte e maestose, si innalzano prepotentemente dal mare, inattese ed irruente, come a pretendere con la forza il loro spazio. Il mare, da parte sua, come se reagisse al sopruso ricevuto e voglia riappropriarsi del maltolto, si allea con il vento e si scaglia sulla costa talvolta con violenza, ma è respinto da alti bastioni, da veri e propri muri, formati dalle rocce vulcaniche.

Questo contrasto di forze potenti ed immani, di colori forti, di montagne altissime e mari infiniti, rende le isole Canarie assolutamente affascinanti, direi ammalianti, ipnotizzanti, attraenti come il canto delle sirene narrato nell’Odissea. E, così, alla partenza per l’Italia ipotizziamo di ritornarci per seguire nuovi itinerari, ma in realtà, per rivivere la bella esperienza che ci lasciamo alle spalle.

I miei sentimenti sono stati pienamente condivisi dai miei compagni di viaggio, e soci del Moto Club Roma, che mi hanno allietato con la loro presenza e onorato della loro preziosa amicizia. Grazie a mia moglie Cecilia, sempre (o quasi) pronta a seguirmi appollaiata sul sellino posteriore della moto, ed a Davide, Oreste, Chiara, Roberto, Rita, Fabrizio e Carlo per aver condiviso, ancora una volta, la favolosa avventura che solo un viaggio in moto può regalare.

EPILOGO DI UN ABRUZZIADE DI QUALCHE ANNO FA

Cari amici,

sento il bisogno di confidarvi una mia sensazione che, certamente, tutti voi avete provato.

Si tratta di circostanze particolari che provocano delle sensazioni emotive difficilmente spiegabili.

Chi usa intensamente la moto è consapevole di guidare un mezzo potenzialmente rischioso -fate pure gli scongiuri…ma non consumate troppo la stoffa al cavallo dei pantaloni- ma presumiamo che scesi dalla moto il pericolo sia passato.

Purtroppo non sempre è così!!! Sentite cosa è successo.

Le bellissime Abruzziadi di sabato e domenica scorsa (sempre grazie infinite a Battaglione per la organizzazione) sono trascorse senza alcun intoppo, neanche una bucatura (mancava Massimo), insomma tutto liscio e divertente, nulla lasciava presagire cosa sarebbe accaduto…

Finito il fuoristrada, siamo tornati in moto al parcheggio di Rieti dove avevo lasciato la macchina con il carrello ed abbiamo caricato la moto mia, quella di Oreste e di Bob per lasciarle da Ciocioni, per guarire qualche piccolo acciacco.

Siamo arrivati ma, siccome l’officina era chiusa, dovevamo lasciare le moto a casa sua che sta  proprio di fianco all’officina.

La casa è costruita su una collina molto scoscesa, su due livelli: il primo a piano della strada, dove abbiamo lasciato auto e carrello, il secondo più in basso, al quale si accede tramite una ripida rampa che porta ad un lastricato che confina con la casa stessa e con il terreno circostante molto scosceso, quasi un baratro.

Bob, che pure durante le Abruzziadi aveva tentato la buona sorte con pinne, salti e evoluzioni varie, ha pensato di sfidare la Nera Signora…

Fa scendere la sua moto -che tanto fedelmente lo aveva servito- dal carrello, ci monta sopra all’amazzone, cioè con le due gambe dallo stesso lato ed il possente deredano sulla sella, scende dalla rampa, si avvicina al ciglio del piazzale con le spalle al baratro, sta per fermarsi e …. batastrank!! finisce di sotto.

Attirati dallo stridore delle povere lamiere contorte della Beta, ci voltiamo e vediamo solo parte delle ruote della moto che si era fermata sottosopra proprio all’inizio della scarpata, dove un provvidenziale olivo aveva impedito al cavallo d’acciaio ed al provvido cavaliere di finire di sotto.

Bob era praticamente seduto sul lato della moto e chiedeva aiuto per riuscire a divincolarsi dalla presa della moto che, vergognosamente, lo aveva attanagliato: era finito seduto proprio sulla pedanina della moto che, quindi, aveva violato le parti più intime del nostro amico. Poverino! ora certamente saprà comprendere molto meglio la mentalità del terzo sesso, (speriamo che non arrivi mai al punto di depilarsi).

Insomma, abbiamo dovuto tirare su prima Bob, provocando un orribile rumore, tipico della bottiglia di Champagne che viene stappata, e poi la moto prendendola dalle ruote per issarla sul piazzale.

Ebbene, dopo aver passato anni alla guida di moto di vari tipi, sulle strade di mezzo mondo, nelle condizioni più disparate… ho rischiato di morire d’infarto per le risate.

Rudy

Driving in Even

By Rodolfo ROMEO

Molto spesso si parla di paradiso terrestre con riferimento ad alcuni meravigliosi luoghi che il nostro mondo ci offre in regalo.

Tuttavia, tra quelli che ho avuto la fortuna di visitare, il Costarica è certamente il posto che più si avvicina alla mia personale idea di paradiso. Per chi, come me, è affascinato più dalle opere della natura che da quelle dell’uomo, il Costarica rappresenta una meta imperdibile.

Per questo motivo con gli amici del Moto Club Roma abbiamo chiesto alla MotoRideExperience (che ha ormai maturato una buona esperienza sul territorio) di organizzare un breve viaggio, ovviamente in moto,  “su misura “ per noi e le nostre compagne di vita che, proprio per la facilità del viaggio, non ne hanno voluto sapere di rimanere a casa.

A casa, anzi in garage, sono rimaste le nostre amate compagne di avventura perché sul posto è possibile noleggiare dal concessionario BMW di San Jose (capitale del Costa Rica) moto adatte al percorso e, cioè, una leggera enduro stradale che permette di percorrere agevolmente le molte strade bianche, che in molti casi costituiscono l’unica via di accesso ad alcuni dei luoghi più belli del Paese.

Del resto le percorrenze giornaliere sono abbastanza limitate perché la superficie del Costarica –solo circa 50.000 Kmq-  consente in poche ore di raggiungere la meta prevista senza alcuna fatica. Il bello del Costarica è proprio questo: in un fazzoletto di terra sono racchiuse e custodite con attenzione tutti i sei tipi di foresta tropicale esistenti al mondo, bellissime spiagge tropicali perfettamente attrezzate per il turismo, altre solitarie e selvagge, montagne e vulcani alti 3.500 metri.

Ogni tipo di sistemazione, per tutte le tasche, sono a disposizione per visitatori e viaggiatori.

Dopo un lungo volo aereo e la prima notte passate nella capitale (che sinceramente non offre nulla di indimenticabile), abbiamo “conosciuto” le nostre cavalcature, cinque F700GS ed una G650 Sertao, ed abbiamo subito puntato verso nord attraverso una fitta foresta pluviale che non ha voluto smentire il proprio nome. Ma la temperatura è gradevole e la pioggia dura solamente un’ora e lascia il posto ad un forte sole caldo che dà vita a colori splendenti ed accecanti. L’impressione di tutti è quella di guidare all’interno di un orto botanico e questo ci fa sentire degli intrusi in questa natura lussureggiante dove alberi immensi, sui quali  vivono uccelli ed animali sconosciuti a noi europei, sono i padroni incontrastati. Il Costa Rica, infatti, è la nazione al mondo con la maggiore percentuale di territorio destinata parco naturale.

I due giorni successivi sono dedicati alle montagne ed ai parchi del centro del Paese che comprendono la zona del vulcano Arenal ed il parco nei pressi della cittadina di Monteverde -raggiungibile solamente su strade sterrate, proprio per evitare un eccessivo accesso di turisti- dove è situata una delle poche foreste nebulose del Pianeta. Sembra di essere entrati nel film Avtar: gli alberi sono vere cattedrali che contengono al loro interno numerose forme di vita vegetale ed animale, dipendenti una dall’altra. Sicuramente James Cameron si è ispirato a quegli alberi nella scenografia del suo film.

Lasciata Monteverde la strada bianca scende verso valle e si trasforma in asfalto perfettamente tenuto e modellato apposta per essere appieno goduto e divorato dalle nostre moto. Dolci colline sulle quali corre la strada con continui saliscendi e curve perfettamente raccordate tra loro. Traffico inesistente.

La strada si immette, poi nella mitica Panamericana, la direttrice che congiunge la Patagonia con l’Alaska. Trafficatissima ma affascinate per la presenza di veicoli e trak allestiti per le lunghe percorrenze.

Abbandonata la Panamericana che abbiamo percorso per circa 80 Km in direzione nord puntiamo verso ovest  per raggiungere la Peninsula de Nicoia.

In questa zona sono situate le spiagge più popolari e famose (Plaia El Coco, Plaia Tamarindo, Plaia Carrillo, etc) scelte sia da molti stranieri come dimora definitiva dove godersi la pensione, sia da giovani amanti degli sport acquatici. L’ambiente è comunque rilassato e smart, mai caotico e si alternano baie tranquille con spiagge assolutamente selvagge. Davanti, sul mare, si osserva il passaggio di uccelli marini tra cui i meravigliosi pellicani che volano sfiorando le creste delle onde. Dietro, sulla terraferma, l’attenzione è attratta dalle scimmie che come funamboli passano tra i rami degli alberi in cerca di frutti da mangiare e da un’infinità di uccelli che luccicano per i loro colori splendenti. Negli specchi d’acqua dolce poco all’interno della spiaggia non è difficile incontrare qualche Caimano. Che spettacolo!

Lasciata la Peninsula de Nicoia ritorniamo sui nostri passi per dirigerci a sud sempre sulla costa del Pacifico per far visita alla regione di Puntarenas. Qui si raggiunge uno straordinario equilibrio di bellezza tra la foresta pluviale umida ed il caldo oceano sul quale affaccia. E’ impossibile dire quale sia più affascinante, ma è certo che trovarsi in questa indecisione è meraviglioso. Fuori dalla stanza dell’albergo gironzolano indisturbati iguana grandi un metro (non sono aggressivi, ma è meglio tenere la porta chiusa) sugli alberi scorrazzano le scimmie Cappuccino (le più coraggiose non disdegnano un bagno in piscina) e volano i coloratissimi Tucano, poco più avanti il bianco abbagliante sella spiaggia si tuffa in tutte le sfumature dell’azzurro del mare.

Ma è tempo di lasciare la costa perchè all’interno ci aspettano i 3500 metri del vulcano Irazù. Qui il panorama è, ovviamente, completamente diverso. Impossibile contare le diverse tonalità del verde. Le foreste ed i boschi si alternano a coltivazioni (obbligatoriamente biologiche) di caffè e di frutta tropicale.

Sulle montagne si scontrano le correnti umide dei due oceani ed è facile trovare nebbia e pioggia, ma tutto sommato le nostre leggere tute impermeabili assolvono il loro dovere ed il manto stradale sempre è ben tenuto e non ci sono particolari problemi. Tuttavia la temperatura scende dai 36 gradi della costa agli otto della sommità del Vulcano e dobbiamo coprirci meglio perchè l’abbigliamento tecnico che abbiamo portato è estivo, ma tutto sommato la scelta è stata appropriata.

Ritorniamo in pianura per dire addio, anzi arrivederci, alle nostre moto che, con il loro comportamento sempre adeguato alle nostre necessità, ci hanno fatto affezionare (non ditelo a quelle rimaste a casa, ne sarebbero gelosissime!).

Il viaggio in moto, quindi è finito ma “l’avventura continua”. Poche ore di bus sono sufficienti per raggiungere la costa atlantica, molto più selvaggia ed ancor meno antropizzata. Infatti, sull’Atlantico si affaccia la foresta “amazzonica” più a nord del continente. Vi si accede solo con piccole barche percorrendo alcuni canali navigabili che si addentrano nella foresta sino ad arrivare nella zona chiamata Tortuguero. Infatti la lunghissima spiaggia, del tutto inospitale per attività nautiche per la presenza di grandi squali, di un mare quasi sempre mosso e di forti correnti, viene scelta dalle tartarughe di mare  per la riproduzione e la deposizione delle uova. La schiusa avviene a giugno-luglio ma vi lascio immaginare con quale attenzione la zona viene custodita.

Noi per due giorni siamo ospiti di un bel resort organizzato con ogni confort ed organizzato proprio per poter visitare la zona anche con preparatissime guide che illustrano flora e fauna sella zona e che preparano gli ospiti ad essere svegliati di soprassalto durante la notte dalle scimmie urlatrici. Credetemi che il nome è del tutto appropriato e non sfigurerebbe come sonoro in un film del terrore.

Purtroppo il volo di ritorno non ne vuole sapere di aspettarci e, quindi, con vero rammarico dobbiamo salutare il Costarica: ci attende il freddo inverno a casa che sarà scaldato dal caldo ricordo di questa splendida avventura … in attesa di organizzarne un’altra.

CI RIVEDREMO A FILIPPI *, ANZI A KAVALA

by Rodolfo ROMEO

Evidentemente proprio non si fidano a mandarmi in giro in moto da solo.

Infatti, all’inizio dell’anno, quando ho detto agli amici del Moto Club Roma che il congresso della FimE si sarebbe svolto in Grecia, a Kavala, e che, ovviamente, ci sarei andato in moto, in molti hanno detto “vengo anche io” senza neanche sapere quale sarebbe stato l’itinerario … tanto, di sicuro, ci sarebbe stato di che divertirsi. Si sa che tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, ma questa volta alla partenza ci siamo ritrovati in 16 moto e 26 persone!

Comunque, non è stata una novità. E’ ormai tradizione che il Moto Club Roma sia presente al congresso annuale della FimE, così come già avvenuto a Sofia, Opatija, Kiev,  Larnaca, Riga, Istambul, Treviso, Cracovia, sempre una splendida occasione, come se avessimo bisogno di una scusa per visitare posti nuovi e beneficiare della calda accoglienza che le Fnms ci hanno sempre riservato. E poi non fa male vedere un po di moto quando se ne parla tanto …

Ma veniamo al tour di quest’anno. Diciamo subito che, nonostante l’elevato numero dei partecipanti e delle nazioni da attraversare (non è nemmeno pensabile di fare la strada più diretta!) l’organizzazione è perfettamente riuscita e non ci sono stati contrattempi o difficoltà di sorta.

Il gruppo parte da Roma alla volta del porto di Ancona. Svolte le brevi formalità di imbarco, dopo l’ultimo breafing tenutosi a bordo -nel quale sono state ripetute le solite raccomandazioni, come sempre ignorate nel corso del viaggio- la notte trascorre su un mare completamente piatto, ottimo auspicio per la riuscita del viaggio.

L’alba ci mostra la costa della Croazia in tutta sua bellezza. Le miriadi di isole si specchiano in un mare dalle mille sfumature dell’azzurro sul quale affaccia la bella Spalato nella quale sbarchiamo. Questa volta non saremo ospiti del palazzo di Diocleziano -che costituisce la principale attrattiva culturale di Spalto e che ormai conosciamo a memoria- ed imbocchiamo subito la meravigliosa strada litoranea diretti a Sud. Ad ogni curva si aprono scenari di mare ed isole che attraggono come le sirene narrate nell’Odissea e, come moderni Ulisse, ogni pochi metri siamo tentati di buttarci in mare (possibilmente senza moto) per un bagno ed una nuotata in un’acqua e azzurrissima ed immobile come fosse un lago. I piccoli paesi di case bianche con i tetti di tegole color mattone ed i pini verde scuro che arrivano quasi in mare, si specchiano nell’acqua contribuendo a dipingere una tavolozza di colori dalla quale è difficile distogliere lo sguardo.

Dopo circa 160 chilometri lasciamo la litoranea diretti ad Est ed entriamo in Bosnia Erzegovina diretti a Mostar. Lungo la strada una breve deviazione ci porta a Medjugorje che, a parte la suggestione -per chi la avverte- procurata dalle testimonianze circa le apparizioni della Madonna, non è di alcun interesse. Del tutto diversa è Mostar, un posto da non perdere, che mantiene inalterato il suo fascino nonostante il forte afflusso di turisti ed il fatto che siano ancora visibili i segni procurati dalla follia dell’uomo. Il nuovo ponte (da cui prende il nome la città: mostar significa ponte), ricostruito nel 2004 dopo la distruzione a cannonate di quello costruito in stile ottomano dai Turchi nel 1566, ne mantiene certamente l’aspetto ma il pensiero di quello originale mi rattrista non poco. Ricordo nitidamente la prima volta che lo ho visto: era il 1985 in un viaggio con altri due fraterni amici -Camillo e Roberto- che sono presenti anche questa volta. Allora guidavo la mia meravigliosa R100, molti anni, figli e chili in meno. Oggi la GS1200Adv, parecchi chilometri, chili e cc in più, molti capelli persi per strada (sarà colpa del casco?), ma la voglia di viaggiare in moto è la stessa.

Risaliamo in sella (un po più faticosamente di allora) e dopo circa un’ora e mezza, ci riaffacciamo sul mare ed arriviamo nella spettacolare ed affascinante Bubrovnik. Descrivere la bellezza di questa antica città che fu della Repubblica Marinara di Venezia, va ben oltre le mie misere capacità. Lasciate le moto in albergo, quindi, ci sparpagliamo per i vicoli della città vecchia per godere appieno il tramonto e della serata nella moltitudine di piccoli locali, peraltro frequentati da fauna femminile di altissimo livello! Per questo, i pizzichi e le gomitate che riceviamo dalla nostre signore non si contano.

La mattina successiva siamo nuovamente in moto e dopo pochi km entriamo in Montenegro. Lo devo ammettere: io non sono un testimone attendibile quando si tratta di giudicare un determinato luogo, perché quando viaggio in moto, sono entusiasta di tutto ciò che vedo, soprattutto se è differente da quello a cui sono abituato. Comunque, dovete credermi se vi dico che anche il Montenegro riserva inaspettate meraviglie. Le montagne dell’interno, alte anche 3000 metri, coronano canyon e laghi in un continuo avvicendarsi, il tutto collegato da tortuose, piacevoli e divertenti strade, perfettamente tenute. Un vero spasso per chi guida, ma attenzione ai limiti di velocità il cui controllo è zelantemente effettuato da inflessibili gendarmi. Le montagne arrivano direttamente sul mare e, quindi, nel giro di pochi chilometri l’ambiente montano e continentale si trasforma in ambiente marittimo e temperato. La notte la trascorriamo a Tivat (Teodo in Italiano), una piacevolissima cittadina sulle sponde della baia di Kotor il più vasto fiordo del mediterraneo. Indimenticabile! E’ d’obbligo la visita alla vicina città di Kotor (Cattaro in Italiano) la cui parte antica e fortificata è anch’essa di origini veneziane e, perciò, ricorda molto Bubrovnik.

Il giorno dopo la bussola è ancora puntata verso Sud, ma poco prima del confine con l’Albania puntiamo ad Est per superare il monte che delimita la costa Ovest del lago di Scutari. Valicato il passo la vista è mozzafiato. Da una parte il mare Adriatico, dall’altra, a strapiombo, il grande lago -che per metà è in Montenegro e per l’alta metà è in Albania- circondato da austere e altissime montagne le cui vette in inverno sono coperte di neve ed ora, invece, mostrano la roccia bianchissima che si riflette  sulla superficie del lago stesso. La strada in discesa è asfaltata ma ha le dimensioni di un sentiero, tanto che le tre auto che provengono in senso inverso si fermano per consentirci di passare. Una delle strade che segno sulla mia personale lista delle più belle che ho percorso. Scesi al livello del lago, lo costeggiamo in direzione di Podgorizza, ma poco prima dell’ingresso in città pieghiamo ancora a sud verso la frontiera con l’Albania. Le operazioni doganali sono veloci nonostante una lunga fila di Tir che superiamo senza problemi.

Già in frontiera si percepisce chiaramente la simpatia che gli albanesi hanno per gli italiani. Ogni occasione è buona per fare quattro chiacchere come se ci si conoscesse da tanto tempo. Pochi km di una strada larga, scorrevole e perfettamente asfaltata (sulla quale si trovano perfettamente a loro agio anche biciclette e carretti trainati da animali) ed entriamo a Scutari dove alloggiamo nel centralissimo, piccolo ed accoglientissimo hotel Tradita, che ha mantenuto l’architettura e le finiture dì una vecchia fattoria. Le moto ce le fanno posteggiare nel giardino interno, proprio dove ci viene servita una cena strepitosa; di fatto siamo a tavola con le nostre compagne di viaggio, con buona pace per le signore presenti.

Scutari, come del resto tutta l’Albania è per me irriconoscibile. Nel 1994 ho avuto la possibilità e la fortuna di visitarla, sempre in moto con gli amici -alcuni presenti anche stavolta- del Moto Club Roma, su invito della allora nascente associazione motociclistica. Il paese era appena uscito da un lungo e buio periodo di dittatura, che lo aveva completamente isolato dal resto del mondo e, di fatto, ne aveva bloccato lo sviluppo agli inizi del secolo. Fu un’esperienza assolutamente affascinante, un tuffo indietro nel tempo di cento anni. L’Albania non era stata ancora sconvolta dalla crisi che, dopo poco, fu causata dallo scandalo delle finanziarie e procurò una emigrazione di massa.

Oggi è tutto cambiato, direi sicuramente in meglio. Sono stati cancellati si segni di un passato terribile: le case ed i palazzi del potere dell’epoca sono stati smantellati e, soprattutto, sono state demolite le migliaia di bunker che tempestavano ogni parte del territorio, campagne, montagne e spiagge, come le bubboni sulla pelle di un malato di peste. Le strade ora sono degne di questo nome ed ospitano un traffico consistente di ogni tipo di mezzo di locomozione. Il nostro itinerario prevede di attraversare l’Albania in direzione sud-ovest in direzione del lago di Okrid, altra perla dei Balcani sul quale si affaccia anche la Firom.

Entriamo in Grecia, con destinazione la vicina Kastoria, ed è netta la sensazione di essere “a casa”.  L’ospitalità per i Greci non solo è tradizionalmente sacra, ma è evidente, tangibile. Si concretizza il giorno successivo durante la nostra sosta a Edessa. Mentre parcheggiamo le moto lungo un marciapiede di una piccola via, esce da un negozio negozio una signora che, sorridendo, inizia a fare ampi gesti con le mani, rientra all’interno e ne esce sorridente con un grande vassoio pieno di frutta fresca che ci offre avvicinandosi alle nostre moto. Un piccolo gesto di grande ospitalità al quale, sorpresi (ma non tanto: siamo in Grecia!) rispondiamo regalando alla signora qualche adesivo del nostro Club, che accetta ringraziando come se si trattasse di un bene prezioso.

La strada lascia i boschi e le montagne per scendere dolcemente verso il mare. Ecco l’Egeo e la penisola calcidica che protende le sue tre dita verso il largo, quasi volesse toccare, afferrare qualcosa in mezzo al mare: potrebbe essere una piccola isola scambiata (ma in realtà così è) per un prezioso gioiello? Che spettacolo!

Arriviamo a Kavala e di fronte all’Hotel, dove si tiene il congresso, ci aspetta Alessandro Sambuco (che sorride ma certamente è rattristato per non essere venuto in moto con noi),  Stelios e Panos, i nostri “angeli” greci.  La foto sotto le bandiere della FimE è d’obbligo.

Il mattino successivo ci imbarchiamo sul traghetto che, in poco tempo, ci porta all’isola di Tassos dove trascorriamo l’intera giornata tra bagni in incantevoli spiagge e soste in ospitali taverne.

Il venerdì inizia il congresso e per me “la festa” è finita, essendo occupato in una serie di riunioni. Invece, gli altri amici si sparpagliano nelle vicinanze di Kavala alla ricerca, a seconda dei gusti, di splendide spiaggette o di siti archeologici.

Il sabato sera siamo ospiti alla cena di gala durante la quale, come nostra tradizione,  consegniamo alla Federazione greca un piccolo trofeo raffigurante la Lupa Capitolina, simbolo di Roma e del nostro Club,  quale ringraziamento per l’ospitalità ed in ricordo del nostro viaggio. Abbiamo in serbo, anche un’altra sorpresa, stavolta per il Presidente FimE, che viene festosamente accerchiato per la consegna del diploma quale Socio Onorario del Moto Club Roma. La sua sorpresa è evidente e, sono sicuro, gli avrà fatto piacere. Sarà in buona compagnia nell’Albo d’Oro del nostro Club.

Domenica, purtroppo, è tempo di rientrare ma il tempo è tiranno e stavolta percorriamo la strada più diretta: ad Igoumenitsa ci aspetta il traghetto per l’Italia. La strada è comunque piacevole e non ci facciamo mancare una sosta per pranzo a Metsovo per gustare le specialità di carne alla griglia.

Quando in lontananza si scorge nuovamente l’Adriatico il viaggio sembra proprio terminato … ma cerchiamo di sfruttare al meglio le poche ore rimaste. Un l’ultimo bagno in Grecia nella bella spiaggia di Ammoudia -deve sfocia il fiume Acheronte che nell’Eneide segna la porta di accesso degli inferi- ed una cenetta in una tipica taverna Greca.

Pochi chilometri percorsi buio e raggiungiamo il porto di Igoumenitsa per imbarcarci sul traghetto che la mattina seguente ci sbarca a Brindisi.

Una lunga e noiosa cavalcata di circa 600 Km ed eccoci nuovamente a Roma soddisfatti per il bel viaggio e per i ricordi che ci scalderanno le serate invernali nelle riunioni al Club. Il contachilometri parziale, azzerato alla partenza, segna quasi 3.500 Km, ma il viaggio è finito … giusto in tempo per iniziarne un altro.

P.S.

Non è possibile terminare queste note senza ringraziare gli amici del Moto Club Roma la cui esperienza, simpatia ed allegria ha reso il viaggio non solo interessante ma anche piacevole e divertente: Roberto, Enzo, Giorgio, Oreste, Fulvio, Alfonso, Marco, Fabrizio B, Davide, Camillo,  Massimo, Fabrizio M., ed in modo particolare un grazie a Giancarlo, Alberto e Fausto, che hanno con me collaborato nell’organizzazione del viaggio e nella  pianificazione dell’itinerario. Un pensiero va alle nostre compagne di viaggio, quelle a due ruote, che hanno percorso (qualcuna carica come un mulo) complessivamente 56.000 km senza il minimo problema. Sicuramente si sono divertite anche loro. Ah … quasi dimenticavo le nostre compagne di viaggio, quelle in carne ed ossa: Cecilia, Francesca R., Francesca F. Carla, Chiara, Maria Grazia, Luisa, Antonella, Nicoletta e Susanna, le quali, pur di partecipare la viaggio, hanno sopportato, come nulla fosse, le inevitabili battutacce di 16 motociclisti scalmanati (ma non tanto).

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Filippi oggi è un importante sito archeologico nei pressi di Kavala.

Ci rivedremo a Filippi” è una delle frasi più celebri a noi giunte dall’antichità; secondo la tradizione, a pronunciarla fu il fantasma di Giulio Cesare che così si rivolse a Bruto.

Plutarco racconta che Bruto, ossessionato dai sensi di colpa per aver ordito e partecipato alla congiura nella quale Cesare, che l’amava come un figlio, era stato assassinato, sognò una entità che gli disse:“Sono il tuo cattivo demone, Bruto ci rivedremo a Filippi”.